Il Punto
di Sergio Barlocchetti
Il 19 marzo, sul sito de Il Sole 24 Ore, è apparso un articolo, molto discutibile, sui presunti pericoli derivanti dalla diffusione dei mini droni. QUI il link
Leggendolo si evince, senza troppi sforzi d'immaginazione, come l'intento sia quello di segnalare alle istituzioni la possibilità d'acquisto di sistemi antidroni già disponibili sul mercato. Ben poco di cui discutere fin qui, ognuno vende ciò che ha, ma quello che invece è discutibile è che si arriva a distorcere la realtà pur di raggiungere l’obiettivo. Nel testo, infatti, si citano gli eventi accaduti prima di Natale nel Regno Unito come fossero acclarati, quando invece neppure Scotland Yard è ancora riuscita a mettere le mani sui colpevoli delle paralisi agli aeroporti di Gatwick e Heathrow, nonostante tra l’altro il dispiegamento di sistemi anti drone.
Non soltanto: come già accaduto più volte si cita lo spauracchio dell'utilizzo criminale riportato in uno studio blasonato (commissionato da chi?) che afferma “Una delle principali modalità attraverso cui un mini-UAV può effettuare un attacco prevede la dispersione sulla folla di materiale esplosivo, chimico e batteriologico.”Che qualcuno di poco raccomandabile possa averci pensato lo apprendiamo dai rapporti dei militari inglesi e americani impegnati a Mosul, dove alcuni dronetti commerciali erano stati dotati di esplosivo al plastico e lanciati contro gli alleati (senza successo). Altra storia è credere che un terrorista possa pensare di riuscire a disperdere materiale chimico letale con un drone del peso di qualche chilo, poiché sappiamo bene quale sia il carico utile dei droni in commercio, quanto tempo è necessario per imparare a pilotarli in modo almeno “tattico” e anche quante variabili ambientali entrerebbero in gioco vanificando la sciagurata impresa.
Sappiamo anche, però, che non è la registrazione del mezzo (o del pilota) a fermare un malintenzionato. E’ giusto prendere in seria considerazione ogni evenienza, un po' meno lo è forzare eventi ancora non dimostrati per finalità evidentemente commerciali. Questo riguarda per lo più le regole del buon giornalismo, piuttosto che gli autori dello studio (volto a dimostrare comunque una tesi preconfezionata), sia chiaro.
Si mettano il cuore in pace coloro che pensano che un sistema anti drone possa scongiurare un evento simile: questi mezzi possono volare anche senza GPS e senza emettere o ricevere alcun segnale radio, vanificando qualsiasi sistema di jamming (contromisure elettroniche a radiofrequenza), e lasciando ottica e acustica come uniche grandezze fisiche in grado di riconoscerli. Con buona pace dei citati sistemi anti drone.
Uno scivolone mediatico, quello de Il Sole 24 Ore, arrivato proprio mentre il mondo unmanned europeo sta per portare a termine l'approvazione del complesso regolamento comunitario la cui gestazione risale alla fine del 2014. Ebbene: se sarà approvato così come è scritto, in pieno stile EASA, servirà un corso di laurea per capirlo e interpretarlo, e soprattutto per comprendere quali siano i margini di manovra lasciati dal regolatore di Colonia alle autorità aeronautiche nazionali secondo la norma base 1139/2018.
Quelli di EASA vanno capiti: mettere d'accordo le lobby dei produttori, le nazioni liberali con le meno liberali, redigere una norma complessa nella lingua di quelli che a breve (?) usciranno dall'Europa e tradurlo in 28 lingue differenti, non è facile. Così tra categorie Open, Specific e Certified, classi A zero e C zero uno, due, tre, EASA ha mantenuto il suo stile partorendo un colosso normativo con risvolti idealisti. Del resto la settimana scorsa l'autorità europea aveva emesso la guida “Easy Access” alle norme delle licenze di volo, un documento della bellezza di 1.470 pagine, 300 più dell'ultima versione. Alla faccia dell'easy!
Tuttavia, nelle pieghe del Regolamento droni, la possibilità di mantenere con un ruolo importante le organizzazioni di addestramento esiste ancora, e se non varrà più la pena frequentarle per chi intende portare a casa lavoretti “leggeri” con i droni più piccoli, manterranno invece un’importanza evidente per coloro che, Cro o non Cro, desiderano pilotare mezzi di una certa dimensione e massa per farne strumento di lavoro quotidiano e specializzare il loro ambito professionale.
Di questo regolamento convince la volontà di considerare possibili le autocostruzioni, il poter volare senza troppe paturnie in scenari anche urbani, mentre un po' meno convince la farsa del bollino CE e ancora meno l'eccesso di “autocertificazione” online, dal momento che è sufficiente essere iscritti a un ordine professionale per sapere che i corsi online si effettuano con la pagina di Google aperta sul monitor 2 per cercare le risposte ai quiz senza sforzi.
Contestiamo soprattutto la registrazione degli aeromodelli, una vera utopia irrealizzabile sulla quale EASA dovrà giocoforza fare marcia indietro o arrendersi. Non a caso la presenza di sensori potenzialmente lesivi della privacy e di dispositivi di intelligenza artificiale non è cosa oggettiva. Come considerare un programma di volo del radiocomando? E se vige il divieto di installare videocamere in grado di riprendere dati personali, allora sarà da ridere vedere come le riprese termiche saranno più facili di quelle nello spettro del visibile, perché rendono irriconoscibili le persone.
Ma sarà anche divertente capire quale sarà il livello massimo di automazione considerato installabile su un aeromodello (congegno che viene chiamato intelligenza). Pensiamo a un piccolo elicottero radiocomandato: senza un giroscopio è roba per pochi, ma rimane un aeromodello e non è un drone. Anche se c'è chi vuole vendervi un sistema per abbatterlo.
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