Il Punto
di Sergio Barlocchetti
Lentamente e con la solita nebbia ad avvolgerne le caratteristiche tecniche, stiamo per assistere alla comparsa del famigerato consorzio che gestirà il sistema UTM italiano, ovvero il tracciamento e il riconoscimento degli UAS nello spazio aereo, nonché il controllo del loro traffico.
ENAV e Leonardo giungeranno infatti insieme a una soluzione. Se ne parla ciclicamente, ma quando si tratta di provare a capire il chi, il come, il dove e soprattutto quanto costerà, le risposte appaiono evasive e la grammatica viene invasa da generiche parole che evocano grandi management, importanti accordi industriali e tempi sempre incerti.
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Non bisogna vestire, tuttavia, i panni di un dirigente ENAV o di Leonardo (pare che se ne occuperanno loro, il boccone è ghiotto), per capire che un sistema di controllo del traffico aereo funziona soltanto se gli attori in gioco parlano la stessa lingua, cosa che al momento non è. Oggi l’aviazione generale, quella commerciale, quella ultraleggera di categoria avanzata e anche parte di quella militare, utilizzano per questo scopo il cosiddetto transponder (risponditore codificato al radar secondario, o SSR), in modo “C” (identificativo e livello di volo) oppure “S” (con l’aggiunta di altre informazioni, sia sul pilota che sulla velocità indicata dell’aeroplano qualora montasse a bordo anche un sistema anticollisione Tcas II).
Il Volo a Vela, invece, utilizza sistemi dedicati come il FLARM, non leggibili dai radar secondari e dai nuovi sistemi ADS-B, in pratica l’evoluzione dei transponder in un congegno che consente il dialogo tra gli aeromobili per visualizzarne le relative posizioni. Gli ultraleggeri basici poi, nonostante a volte siano dotati di una radio di bordo, non hanno alcun obbligo di montare un transponder, anche perché nella gran parte dei casi sarebbe fisicamente impossibile. Dove installare un congegno del peso di almeno un chilogrammo, alimentato da una batteria altrettanto pesante, su un deltaplano a motore? E su un paracarrello o un paramotore? Per non parlare di deltaplani e parapendio, mezzi senza propulsore appartenenti alla categoria “Volo Libero”.
Si pretende, infine, che ogni oggetto volante radiocomandato, sia esso un APR, un UAS da un milione di euro o un aeromodello economico, sia visibile al controllore esattamente come lo sono le mongolfiere (con transponder) e i velivoli convenzionali. Va da sé che la “sicurezza” non può ridursi semplicemente a uno schermo che mostra posizione e connotati di un traffico BVLOS al controllore di turno, ma significa fare in modo che tutti vedano tutti, specialmente in quelle poche (ma benedette) porzioni di cielo nelle quali si vola senza contatto radio e senza altre rotture.
Aspettarsi che tutti questi mezzi, dal B-737 all’aeromodello, possano montare a bordo la medesima tecnologia è ovviamente impossibile. Sarebbe già bello se gli aeromobili più leggeri potessero prevedere un allarme tascabile, del costo di poche decine di euro, in grado di segnalare un BVLOS in avvicinamento, trasmettendo in contemporanea la posizione al controllore. Anche perché, inutile nasconderlo, la responsabilità della separazione tra i traffici in volo strumentale spetta proprio al controllore, ma in molti continuano a volare a vista e a quote comprese tra zero e duemila piedi.
Facciamo quindi due conti e un esempio: un sabato di primavera nella TMA di Milano volano mediamente circa 200 velivoli in contatto con Milano Radar. Al di sotto, a quote comprese tra 2000 ft e 6000 ft, volano altri duecento velivoli ed elicotteri con transponder su “4611 – 4612 eccetera”. A ridosso delle Alpi, tra Aosta e Belluno termicano almeno una cinquantina di alianti, con punte di traffico notevoli in corrispondenza di Alzate Brianza, Calcinate del Pesce, Valbrembo, Caiolo, eccetera. Sempre in quei dintorni, tra le cime liguri e fino alle alpi Giulie ci sono una trentina di decolli per il Volo Libero. Nella zona di Cuneo saranno in volo le mongolfiere di Mondovì (transponder ON) e più in pianura troviamo poi una trentina di campi volo per traffico ultraleggero e molti di più saranno quelli per l’aeromodellismo. Infine sparsi a macchia di leopardo ecco il traffico APR-VLOS e presto si spera anche quello BVLOS.
A questo punto la domanda sorge spontanea: in questo quadro è più probabile assistere a un “near miss” tra un B-737 e un drone, oppure tra un drone e un malcapitato pilota di deltaplano in sorvolo sulle campagne, con conseguenze molto probabilmente letali?
Eccoci dunque giunti al cuore della questione. Cosa è preferibile fare: mettere al sicuro il lavoro dei controllori (fondamentale) a scapito del traffico leggero e non professionale, oppure creare un sistema in grado di garantire a tutti il diritto di fruire in sicurezza del proprio angolo di cielo? Parliamone a Dronitaly 2019.
[fusion_separator style_type="default" hide_on_mobile="small-visibility,medium-visibility,large-visibility" class="" id="" sep_color="" top_margin="10" bottom_margin="20" border_size="" icon="" icon_circle="" icon_circle_color="" width="" alignment="center" /]*Professionista del settore aviazione da 27 anni, ingegnere aerospaziale, giornalista professionista e pilota. Ha ricoperto il ruolo di Flight Test Engineer e Project Manager in ambito manned e unmanned. Ha fatto parte della redazione del mensile Volare per 18 anni e ha esperienza di pilotaggio su aeromobili leggeri ed executive. Attualmente ricopre l’incarico di direttore tecnico di un'azienda aeronautica internazionale ed è docente di materie tecniche presso la scuola dell’Aeroclub Milano.
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