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Il Punto

di Sergio Barlocchetti

Con l’arrivo della circolare Enac ATM 09 (disponibile qui) si sbloccano di fatto alcune situazioni antipatiche che vedevano gli operatori di APR attendere tempi biblici prima di poter soddisfare i loro clienti ed eseguire missioni che di critico nulla avevano se non il fatto di svolgersi a pochi chilometri dagli aeroporti, ma sovente al di fuori di ogni traiettoria di decollo e atterraggio degli aeromobili. Un’attesa che il più delle volte finiva per favorire l’abusivo di turno privo di scrupoli, il quale soffiava il lavoro al pilota ligio, invece, alle regole. A una prima lettura, almeno restando nei panni di un pilota di drone leggero, diciamo entro qualche chilogrammo, il meccanismo dei rettangoli disegnati attorno l’asse pista degli aerodromi potrebbe anche funzionare a dovere. Tuttavia mi sorge qualche perplessità a causa dell’estensione e divisione dei limiti in modo differente su aeroporti con procedure strumentali e aeroporti senza procedure strumentali. Il motivo è presto detto: sono le dimensioni della pista a determinare la “grandezza” degli aeromobili che vi operano, ed è la categoria del fondo, ovvero del terreno preparato, a fissare quale sia il peso massimo di aeromobili che vi possono atterrare. E quindi le loro dimensioni e prestazioni.

Insomma non vedremo mai un Antonov 225 laddove il fondo della striscia di decollo non regga le sue 640 tonnellate, ma nulla vieta al suo pilota di decollare (anche a vista) seguendo (o meno se fuori dall'Italia o in determinati casi) una traiettoria pubblicata – appunto – tra le partenze standard, ovvero le SID, che altro non sono che le cosiddette procedure. Tuttavia a determinare quanto spazio di sicurezza hanno bisogno gli aeroplani attorno alla pista non è il fatto che sul campo ci sia o meno attivo un sistema di atterraggio strumentale. Del resto, se un giorno, anche a 10 km da un aeroporto, ci sarà mai un Liner a 45 metri da terra, i problemi saranno ben altri che quelli riconducibili alla presenza di un drone.

Ma se in mancanza di alcune radioassistenze attive, le SID di uscita fossero impossibili da eseguire e su quell'aeroporto non ci fosse ancora una procedura SBAS (via satellite), su quella pista cadrebbero le caratteristiche per tenere i dronetti più in basso e più lontano. Dunque messa così la regola potrebbe essere soggetta a interpretazioni poco felici. Proviamo a immaginare che se su quell'aeroporto esistesse un Notam che segnalasse la non operatività dell’ILS e dello SBAS, allora a dieci chilometri di distanza il pilota del drone potrebbe salire da 25 a 45 metri e avrebbe la regola dalla sua parte, poiché di atterraggi con procedure strumentali quel giorno non ce ne sarebbero. Ma non cambierebbe certo la dimensione degli aeromobili che potrebbero atterrare, perché potrebbero sempre esserci delle emergenze.

Penso che il punto fondamentale attorno al quale è stata scritta la Atm 09 sia che in Italia il traffico di trasporto pubblico passeggeri e commerciale cargo si effettuano seguendo procedure strumentali anche in condizioni “visual”. Ed è una regola che, per esempio, non esiste negli USA. Ma basarsi su questa per determinare le regole per gli APR mi pare poco realistico. E il problema sarà più complicato man mano che anche i piccoli aeroporti saranno dotati di procedura “Satellite Based”, poiché anche senza ILS gli aeromobili potranno eseguire gli avvicinamenti di precisione, ma dubito che i piloti di droni ne verranno a conoscenza, almeno non quelli che pilotano piccoli APR, in quanto il numero dei notam da consultare sarebbe sempre via via in aumento. Ci verrà in aiuto D-Flight, oppure un’altra applicazione, che però sia stata implementata anche della quota massima che quel giorno, a quella distanza dalla pista, quel drone potrà raggiungere.

E siccome, come sapete, non considero il geo-fencing un sistema sicuro e sufficientemente intelligente per poter garantire operatività anche al migliore degli operatori, poiché dipende da troppe variabili fuori dal controllo dell’utente, l’alternativa sarebbe tornare a considerare il pilota di droni un vero pilota, cioé capace di conoscere quanto è lunga la pista dell’aeroporto più vicino e in base a quella lunghezza stabilire per tutti gli aerodroni i limiti della sua missione. Basterebbe seguire la classificazione dell’ICAO. Una regola applicabile a tutti gli aeroporti, aviosuperfici, elisuperfici e campi di volo. Per sempre.

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*Professionista del settore aviazione da 27 anni, ingegnere aerospaziale, giornalista professionista e pilota. Ha ricoperto il ruolo  di Flight Test Engineer e Project Manager in ambito manned e unmanned. Ha fatto parte della redazione del mensile Volare per 18 anni e ha esperienza di pilotaggio su aeromobili leggeri ed executive. Attualmente ricopre l’incarico di direttore tecnico di un'azienda aeronautica internazionale ed è docente di materie tecniche presso la scuola dell’Aeroclub Milano.

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